
A partire da giugno 2020 riprende l’attività dell’Agenzia delle entrate e degli enti di riscossione e sui contribuenti si scaricheranno 8,5 milioni di atti e comunicazioni.
E’ quanto affermato dal Direttore dell’Agenzia delle entrate, sentito in audizione alla Camera il 22 aprile 2020, in merito alle misure per il sostegno del sistema finanziario con riferimento all’aspetto tributario e della riscossione, connesse alla situazione determinatasi dall’epidemia da COVID-19 (c.d. coronavirus).
Si prospetta dunque un semestre di “lacrime e sangue” per i contribuenti italiani?
Forse sì, ma in un “gioco” nel quale le regole, a scenari completamente mutati, restano le stesse non è scontato che vincerà sempre e soltanto il banco.
Cerchiamo di capire meglio la situazione partendo dal dato attuale e cercando di fornire qualche scenario (e suggerimento) futuro.
Emergenza coronavirus e rimedi adottati dal Legislatore
Il punto di partenza è la crisi che si è determinata a seguito del dilagare dell’epidemia da COVID-19.
Crisi che, partita sul piano sanitario, inevitabilmente, si è trasformata in una drammatica crisi economica a causa del blocco quasi totale di molte attività produttive, commerciali e professionali.
Il Legislatore ha tentato qualche intervento di sostegno economico per tamponare una situazione che giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, si è fatta sempre più pesante.
E gli interventi, in attesa di conoscere il contenuto di un nuovo decreto atteso per fine aprile, sono sostanzialmente contenuti in 2 decreti:
- il D.L. n. 18/2020, il c.d. “Decreto Cura Italia”, incentrato principalmente su misure di sussidio temporaneo per il mese di marzo (i famosi 600 euro), sull’estensione della CIG e su una sospensione, per il mese di marzo e solo per determinate categorie di contribuenti, dei versamenti fiscali (con riferimento al lavoro dipendente e nello specifico ritenute e addizionali Irpef e all’IVA periodica) e contributivi/assistenziali (contributi e premi Inail);
- il D.L. n. 23/2020, il c.d. “Decreto Liquidità”, che, almeno nelle intenzioni, doveva iniettare risorse finanziarie nelle casse delle aziende e professionisti (ma, cosa di non poco conto, mediante il ricorso all’indebitamento bancario, seppur garantito, in varia misura, dallo Stato) oltre ad un ulteriore sospensione dei versamenti di aprile e maggio anche in questo caso, non per tutti.
Rimanendo sul piano fiscale, l’intento del Legislatore non è stato quello di prevedere una vera e propria pace fiscale, ma solo una sospensione, una sorta di “congelamento” dei versamenti, rimandando gli stessi a giugno (seppur senza sanzioni e interessi e con la possibilità di rateazione in 5 rate mensili).
Oltre a ciò, si è pensato di fermare anche la macchina del Fisco.
Infatti, nel decreto Cura Italia è prevista la sospensione dall’8 marzo fino al 31 maggio 2020 (artt. 67 e 68 D.L. n. 18/2020):
– dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori, i termini per fornire risposta alle istanze di interpello e regolarizzarle, nonché i termini relativi alle procedure di accesso a istituti agevolativi o regimi fiscali di cooperazione con l’Amministrazione finanziaria;
– dei termini per le risposte a specifiche istanze dei contribuenti, tra cui quelle relative all’accesso ad atti e documenti amministrativi, non aventi carattere di indifferibilità ed urgenza;
– dei termini per il versamento di somme derivanti da cartelle di pagamento e da accertamenti esecutivi, da accertamenti esecutivi doganali, da ingiunzioni fiscali degli enti territoriali e da accertamenti esecutivi degli enti locali.
Le conseguenze (ovvie) di tale scelta
Aver scelto, da un lato, di rimandare (a giugno) l’appuntamento dei versamenti e, dall’altro, di sospendere e posticipare (a partire da giugno) la ripresa dell’attività del Fisco è inevitabile che porti ad un ingorgo fiscale proprio a partire dal mese di giugno.
Pertanto, non c’è da stupirsi se, a detta del Direttore dell’Agenzia delle entrate, a partire da tale mese si riprenderà a ritmo serrato con la notifica degli atti.
Si dovrà recuperare l’arretrato e concludere il tutto entro fine anno, considerato che l’idea di estendere di due anni il termine di prescrizione del 2015 (norma contenuta nell’art. 67 del D.L. n. 18/2020) è stata accantonata in sede di conversione in legge del decreto.
Pertanto, l’Agenzia delle entrate vuol tornare a fare il suo lavoro che, non dimentichiamolo, oltre ad assistere il contribuente, consiste principalmente nel recupero di materia imponibile (e quindi entrate fiscali).
Ci sono atti da notificare, obiettivi, in termini di budget, da raggiungere.
Ma in tutto ciò, si sta perdendo il vero e forse più importante obiettivo: salvare il sistema economico produttivo del Paese Italia.
“Fare la guerra” alle imprese e ai professionisti, in questo particolare momento storico, porterà ad un clamoroso autogol.
Senza un deciso, anche se forse ormai tardivo, intervento del Legislatore, non inquinato dalle onnipresenti ragioni di cassa e scevro da pastoie burocratiche si andrà incontro alla bancarotta dell’intera nazione.
Occorre dare ossigeno finanziario (quello vero, non quello camuffato da indebitamento), non importa con quale strumento, ma occorre farlo!
Le idee non mancano: ad esempio, si potrebbe pensare ad un periodo di pace fiscale (almeno per tutto il 2020), all’istituzione, seppur limitata nel tempo, di zone tax free nei territori maggiormente colpiti, ad un sostegno finanziario a fondo perduto, parametrato alle perdite, per i settori maggiormente e realmente danneggiati, al pagamento, va bene anche parziale, dei debiti della P.A. nei confronti di imprese private.
Queste sono solo alcune delle misure economiche che si potrebbero adottare con reali benefici.
Uno stato sociale ed assistenziale si vede nel momento del bisogno: ed ora occorre che lo Stato faccia davvero sentire la sua presenza.
In una situazione di crisi economica che non ha precedenti nella storia recente, non è il tempo, per lo Stato, di pensare solo a ricevere, ma deve piuttosto pensare a dare.